Il Novecentesco Museo di Medicina Tropicale

Nel 1930 Giuseppe Franchini (1879-1938), già docente di patologia tropicale presso l'Università di Bologna, fu chiamato presso l’Università di Modena, ove gli venne affidato l'incarico dell'insegnamento della patologia tropicale: qui fondò e diresse il primo Istituto italiano di Patologia Coloniale che conferiva diplomi di perfezionamento a medici e veterinari civili e militari e organizzava corsi di specializzazione per infermieri e missionari. L’Istituto di Patologia Coloniale dall'anno accademico 1934-35 divenne la Clinica delle Malattie Tropicali e Subtropicali con annesso Centro Studi per la Medicina Indigena dei Paesi Tropicali. Il Centro Studi fu realizzato sul modello dell’Istituto Pasteur di Parigi dove lo stesso Franchini trascorse dieci anni (dal 1914 al 1924) prima come collaboratore del premio Nobel Charles Louis Alphonse Laveran e quindi, alla morte di quest’ultimo, come direttore del laboratorio.

 

 

 

Giuseppe Franchini (1879-1938) Foto d'epoca di studenti del Franchini Foto d'epoca di studenti del Franchini
 

Oltre all'attività didattico-scientifica, il professore Franchini si dedicò alla raccolta di cimeli esotici, di oggetti artistici e di antichi libri di interesse medico e farmacologico, di esemplari di vertebrati e  invertebrati vettori di parassiti, di collezioni fotografiche e di maschere in cera (moulages) di patologia tropicale che costituirono il nucleo di un Museo Coloniale tra i più completi del genere allestito in Italia. Molti di questi esemplari furono da lui raccolti durante i numerosi viaggi di studio in diversi paesi tropicali e subtropicali di Africa, Asia ed America, altri furono inviati da allievi che operavano in Africa orientale italiana, in Libia, in Egitto, in Brasile, altri ancora ricevuti in dono dalle istituzioni scientifiche da lui frequentate. Le collezioni ospitate nel Museo Tropicale erano suddivise in quattro sezioni: medicina indigena, patologia tropicale, etnografia, zoologia. Nel 1940, dopo la morte di Franchini, l’Istituto delle Malattie Tropicali e Subtropicali con annesso il Museo Coloniale, diventato di Medicina Tropicale, venne trasferito presso la seicentesca Villa Pentetorri voluta da Francesco I d’Este ed andata completamente distrutta da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale nel 1944. Fortunatamente le collezioni del Museo si salvarono perchè nel 1943 l’Istituto insieme con le collezioni avevano subito un ulteriore trasferimento nell’edificio del Foro Boario. Nel 1963 le collezioni furono trasferite nel nuovo Policlinico costruito in via del Pozzo a Modena dove rimasero fino al 1988 e successivamente furono collocate in una sala attigua all’ottocentesco Museo Anatomico in via Berengario dove rimasero fino al 2012.

 

Villa Pentetorre, Modena. Fotomuseo "Giuseppe Panini" Sala Scarpa del Museo di Zoologia che ospita la Collezione
 

Attualmente la Collezione Franchini è esposta nella Sala Scarpa del Museo di Zoologia e Anatomia Comparata in via Università 4 e si presenta suddivisa in quattro sezioni. La sezione di zoologia che costituisce la parte preponderante della Collezione e comprende prevalentemente esemplari sia di invertebrati che di vertebrati pericolosi per l'uomo. Il gruppo dei Vertebrati più rappresentativo della Collezione è quello dei Rettili, provenienti in gran parte da Libia, Eritrea e Somalia. La sezione di medicina indigena comprende soprattutto sostanze vegetali, utilizzate dalla medicina popolare dello Yemen, dell’Eritrea e della Somalia. Il professore Franchini sosteneva che i veri medici tropicalisti devono tenere conto anche della “...umanità indigena in mezzo alla quale sono chiamati a vivere e ad operare, della sua mentalità, della sua cultura, delle idee, delle tradizioni, delle abitudini e dei costumi che ne caratterizzano l’atteggiamento del pensiero di fronte ai problemi di patologia, di terapia e di igiene”.

 

Esemplari di Sauri fissati in alcool Semi e foglie essiccate di piante medicinali
 

La sezione di patologia tropicale è rappresentata da numerosi calchi in cera e gesso di pazienti affetti dalla lebbra ed altri pezzi anatomo-patologici usati dal professor Franchini per le dimostrazioni didattiche. Infine la sezione etnografica è composta da una serie di manufatti proveniente dalle nostre ex colonie in Africa. Utensili di uso quotidiano intagliati nel legno, armi utilizzate per la caccia e/o per la difesa e particolari oggetti come un corno di osso, con un coperchio in pelle, per custodire il veleno per le frecce. Purtroppo molti reperti sono andati persi nel tempo come la raccolta di amuleti utilizzati dagli indigeni per allontanare influssi negativi e malattie.

 

Calco in gesso di mano di lebbroso Oggetti etnologici della Collezione